Si è aperta da qualche tempo, a Francavilla al Mare, una mostra su Francesco Paolo Michetti e il suo cenacolo. È venuto alla ribalta un cospicuo gruppo di opere che conosco da molti anni, e che a mio parere non ha nulla a che fare col maestro abruzzese, uno dei maggiori artisti italiani dell’Ottocento. Sono molto perplesso di fronte a un'operazione così sfrontata, i cui risvolti penso (ma forse sbaglio) tendano a conferire a qualche Ente locale condotto da persone ingenue o mal consigliate, parte o tutta quella collezione.
Da molti anni studio l’artista (più di venti), e da circa dieci, coadiuvato da un comitato scientifico composto da altri tre competenti studiosi, sto curando il Catalogo Generale delle opere di Francesco Paolo Michetti, il cui primo, cospicuo volume uscirà in autunno.
Il problema dei falsi Michettti emerse prestissimo, quando l’artista era ancora vivo, almeno dalla fine degli anni ottanta dell’Ottocento. Una prima testimonianza di questo dilagare di falsi l’abbiamo addirittura nel 1888: un articolo di giornale ci informa che quadri falsi, soprattutto di Michetti e Morelli, ma anche di altri autori, sono diffusi impunemente sul mercato di Buenos Ayres, dove le leggi sulla contraffazione non esistevano. Un ulteriore articolo, nel 1893, giunge persino ad attribuire al vecchio editore della “Cronaca Bizantina”, Angelo Sommaruga, emigrato in America dopo rovesci finanziari e dubbie – se non losche – azioni economiche, la diffusione di falsi Michetti. In Italia la situazione è altrettanto conclamata e probabilmente molto precedente rispetto alla denuncia che il noto critico Michele Biancale ne fece nel 1927, dunque ancora una volta prima della morte dell’artista (sulla rivista ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione). Biancale notava che si erano diffuse, in maniera evidentemente già abnorme, quasi industriale, le contraffazioni: “Ora, di tale artista, le cui opere sono ricercate e falsificate da collezionisti e da contraffattori che hanno àteliers, a Napoli e a Milano, di false nervosità disegnative, di falsa rapidità di tocco, di falsa tipologia michettiana”. Per arrivare a parlare di “ateliers” dedicati a tali falsi, con centrali a Napoli e a Milano, la situazione doveva avere già a metà degli anni venti del secolo scorso, raggiunto proporzioni tanto enormi quanto preoccupanti.
La questione si è riproposta, in Abruzzo, pochi anni fa, quando è stato scoperto dalla guardia di finanza un prolifico falsario di Michetti.
Questi fatti, noti a tutti (almeno negli eventi recenti), hanno determinato che per qualsiasi operazione su Michetti, io sia stato preventivamente consultato, per evitare errori drammatici. Anche dalle persone che hanno organizzato questa mostra. Anzi, anche per questa mostra sono stato consultato, per un’opera inedita; mentre sono espressamente stato tenuto all’oscuro di un gruppo di opere improponibili che sono state rovesciate improvvidamente nell’esposizione. Il perché mi è ignoto: progetti indicibili? distrazione? Non saprei dirlo. Fatto sta che decine di persone e di colleghi mi stanno interpellando affinché faccia sentire la mia voce. Alcuni collezionisti seri, resisi conto della situazione (che è a dire il vero eclatante: la dubbia autenticità risulta evidente anche ad amatori non professionisti), hanno negato non solo il prolungamento del prestito delle loro opere autentiche, ma anche la stessa pubblicazione in un catalogo (non ancora pubblicato alla fine della mostra: questo dà la misura della “serietà” dell’operazione) che sarebbe risultato infamante. Per dire la verità, in vista dell’uscita del Catalogo Generale, nel quale simili opere mai verranno inserite, pensavo di ignorare la questione. Ma, mi è stato detto insistentemente, l’Abruzzo non merita un’onta così vergognosa. Forse è vero, e allora chiedo a chi quella mostra ha organizzato, di chiuderla pietosamente e velocemente. Per il bene di Michetti.
Fabio Benzi